BIO
Ginocchia da Monte Morra
La stagione di arrampicata, dopo le delizie invernali regalate dalla neve e dal telemark, è ricominciata. La voglia è come sempre tanta, le capacità scarsa, la voglia di infilarsi ad arrampicare in falesia poca (per noi il piacere regalato da questa attività è anche quello dello stare senza folle di persone intorno). E allora che fare con Franco, a cui sono legato dall’amicizia quanto dalla corda?
“Potremmo andare ad arrampicare al Morra” propongo, “saranno circa venti anni che non ci vado, dai tempi del corso di roccia.”
“Bell’idea” mi risponde lui, “a me sembra di non esserci mai stato. Ma non era venuto tutto giù al Morra?”
Rimescolo nella memoria e salta fuori che sì, qualche frana c’è stata e ha interessato il settore centrale: “Mi ricordo una volta di aver salito un bel diedro... ma dovrebbe essere venuto giù tutto.”
“E allora, cosa potremmo fare?” chiede Franco.
“Beh, alla fascia inferiore c’erano delle belle vie di più tiri” dico, “potremmo arrampicare sulla Zapparoli o sulla Diretta alla sua sinistra. Portiamo per sicurezza qualche dado e un paio di friend e poi si vede che si combina.”
Detto fatto dopo aver vagato fra boschi e fratte, che il sentiero lo abbiamo perso appena scesi dall’automobile che la memoria non arriva a quello che si è fatto il giorno appena passato figurarsi a vent’anni prima, arriviamo con Franco al ghiaione che porta alla fascia rocciosa inferiore del Monte Morra, dove c’è il vecchio Conventillo (un monastero diruto del medioevo) e dove a memoria (sempre quella scarsa) dovrebbe partire la Zapparoli.
“Mi sembra di ricordare che era una delle prime vie della parete, vicino a un albero dove si faceva anche sosta per il primo tiro.”
Troviamo una cordata a cui chiediamo informazioni e ci sembra di capire che loro stiano salendo sulla Diretta per cui noi ci spostiamo a più a sinistra.
“Certo che dopo vent’anni mi sembra tutto differente mugugno” mentre Franco inizia a salire il primo tiro.
Davanti a lui un paio di alti chiodi rugginosi indicano la direttrice dell’itinerario. Franco li supera e mentre aggancia i rinvii, sul suo volto compare quello stesso sguardo che anima i visi pieni di fede dei pellegrini a Lourdes: c’è fede verso quel pezzo di ferro vecchio del cucco infisso in parete. Fede... ma soprattutto speranza che regga un’eventuale caduta... certezza no, quella proprio non può esserci viste le condizioni dei chiodi.
Per farla breve, che alle brutte figure non bisogna lasciare poi molto spazio, non stavamo sulla Zapparoli, la memoria era più fallace di quanto si temesse, avevamo capito male quanto detto dall’altra cordata, le difficoltà erano decisamente più alte di quanto avremmo preteso e la roccia marcia giusto al punto da mollare massi delle dimensioni di forni a micro onde (nuova unità di misura coniata per l’occasione). Così Franco, dopo aver visto scivolare sulle sue ginocchia un paio di Whirpool da 30 litri, ha preferito scendere e rinunciare all’agone dell’arrampicata selvaggia in luoghi poco frequentati. Da parte mia non mi sono sentito di contraddirlo: la mia memoria improvvisamente aveva avuto un ulteriore aggravamento e, fattasi ancora più labile, si era già dimenticata di quanto anch’io avessi amato le vie da proteggere e i luoghi isolati ed ora bramava solo una via di quarto, quinto al massimo, protetta da spit e fittoni grossi come pali della luce, dalla rocce perfetta e magari consolidata anche da generose quantità di resina. Anche perchè già avvertivo la mancanza di cordate con cui arrampicare gomito a gomito e con cui dividere persino lo spazio dello zaino buttato per terra.
mercoledì 30 giugno 2010
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