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La Forma del Tempo
Nebbia. Vento. Umido che entra nelle ossa. Giorni centrali del mese di agosto come quelli di un autunno inoltrato ed io, appeso qui a una sosta su una parete di roccia marcia, a godermi tutto ciò aspettando che il mio compagno di cordata termini il tiro. Oramai è più di mezz’ora che sono in attesa: i passi che hanno portato sotto la parete sono stati fatti in silenzio, l’unico modo per riuscire ad ascoltare la voce di quello che abbiamo intorno. In questa quiete che si è fatta parola, inframmezzata al più dal sibilare del vento o dalla voce di un gracchio lontano, i pensieri hanno avuto libertà di movimento. Hanno potuto correre, inseguirsi fra loro, accoppiarsi e generare discendenza. Nuove riflessioni hanno preso vita, regalo del tempo sospeso, doni che solo i grandi spazi sanno elargire. Vagare fra colli, valli, pendii e cime origina la possibilità di sincronizzare corpo e mente. Un andare simile a quel “walkabout” delle vie canti degli aborigeni australiani. Secondi, minuti, ore e giorni che grazie a quest’errare si dilatano, trasformando il tempo da assoluto in relativo.
Adesso, appeso alle rocce, la corda scorre fra le mani mentre, dal basso, giunge un rumore di pietre smosse. In alto, le nuvole continuano a vorticare prese dai respiri del vento. Nei minuti che si espandono l’azione sembra allora non aver fine e le voci dell’anima trovano il tempo per descrivere ciò che è oltre i cancelli spalancati dell’immaginazione. In quegli spazi, le nuvole divengono messaggere di fulmini e bufere e il rumore di sassi di poco prima sembra mettere in guardia sulle possibili difficoltà del mio compagno o sul verificarsi di un incidente. Incognite fantasticate che spingono ad annusare il vento, a percepire con più attenzione le assonanze fra il nostro essere e quanto ci circonda. Una vibrazione che risuona forte dentro di noi e che raggiunge il suo massimo quando si accorda, come attraverso un diapason, con l’ambiente. E’ in questo preciso momento che il vagabondare fra le montagne trova il suo senso più profondo. Camminando, arrampicando o sciando non fa differenza. Il nostro andare necessita solo della possibilità di vedere il tempo prendere una forma differente, più estesa, in cui la mente sappia trovare la strada per liberarsi delle catene che l’uomo ha stretto intorno a sé.
Il mio compagno è giunto in sosta. Ci scambiamo un sorriso e il materiale utile per la salita. Poi, vincendo il freddo e l’umido, riprendo ad arrampicare, vagabondando ancora su questa parete così simile, con le sue difficoltà e con gli equilibri da mantenere per giungere al suo termine, alla vita di ognuno.
mercoledì 10 agosto 2016