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TRAVEL
un vecchio ciclista senza memoria
venerdì 14 giugno 2019
Qualche mese fa, scrivevo queste righe. Ora la corsa e la salita sono alle spalle e sono due mesi che si è concluso tutto. L'arrivo è stato come il resto: impegnativo. Ora il riposo è arrivato. Ma è difficile da accettare come lo era la fatica di quella salita. L'ultima salita di un vecchio ciclista senza memoria.
"Di quella foto, in cui stai con gli sci ai piedi sulle nevi del Terminillo, scattata oltre sessanta anni fa, sono orgoglioso. Ho sempre immaginato che fossero lì le radici del mio esplorare e vagare per le montagne d'inverno. Quell'altra foto, quella in cui sei vicino al tuo amico in divisa nera da portiere di calcio, quella in cui sorridi al fotografo e stai con il pallone di cuoio sotto il braccio, quella mi ha lasciato invece sempre un po' indifferente. La passione per il pallone a spicchi bianchi e neri, non ci ha mai unito. Forse ci siamo trovati a tifare insieme solo in occasione di qualche finale dei mondiali. Colpa mia, sicuro, che il futbol e il suo mondo non l'ho mai sopportato più di tanto. Non ho invece tue foto sulla bicicletta da strada, foto di quell’amore portato dentro per una vita e che riuscì a sbocciare solo con la maturità quando, facendo la cresta a colazioni e piccole spese, pezzo dopo pezzo, riuscisti ad assemblare la tua bici. La dipingesti color rosso Ferrari, in modo che si vedesse bene il tuo amore per le pedivelle spinte dalla forza delle gambe e con il sudore sulla fronte. Eppure, nonostante il colore vistoso e la tua scrupolosa attenzione, per ben tre volte sei finito fra le ruote delle auto di guidatori distratti. Un braccio rotto, poi una clavicola e infine la tua bella a due ruote con il telaio criccato e poi saldato ad arte che un’altra bici era da escludere. Cercavi di uscire sempre tre o quattro volte a settimana, con il giro della domenica che era sempre il più lungo, quello che regalava alle gambe il maggior dislivello che la salita è sempre stata la cosa che ti attraeva, ancor più del semplice accumulare chilometri in lunghi giri in piano. Gare invece mai fatte, lo sgomitare per guadagnare posizioni nello slancio della partenza lo odiavi, non lo sentivi tuo. Dell’andare sulle due ruote fini amavi infatti la fatica, il vento in discesa, la determinazione necessaria a spingere ancora sui pedali quando invece avresti fatto meglio a mollare e fermarti. Però non uscivi quasi mai da solo. Per te pedalare era un esercizio fisico che andava abbinato a quello spirituale dell’amicizia, un’unione che permettesse contemporaneamente a corpo e mente di godere. Forse per questo l’unica foto di te in sella l’aveva un tuo amico. L’ho vista solo poco tempo fa, quando già da diversi anni avevi rinunciato a pedalare. Era incastrata nella cornice dello specchio, lì nella bottega di Giovanni, il barbiere del paese delle nostre vacanze. Nel rettangolo di carta della Kodak eri chino sul manubrio al centro di una curva. Una curva in salita naturalmente. Sotto il caschetto e gli occhiali da sole, il sorriso che immagino dovessi avere sempre quando pedalavi. Sono stato fortunato a dividere con te una delle ultime tue uscite. Quella volta ti proposi io di andare e ancora una volta fu un percorso per la prima metà tutto in salita. Trent’anni di meno erano un vantaggio non da poco e dovetti fermarmi spesso per aspettarti. Un’attesa che non pesava comunque, visto non capita tutti i giorni di dividere chilometri e passioni fra padri e figli. Fu l’unica volta che uscimmo in bici insieme. Tu amavi scivolare sull’asfalto liscio. La strada e il suo traffico invece non hanno mai smesso di incutermi timore portandomi verso gli sterrati. Così le nostre scelte ci portarono su percorsi sempre differenti. La cosa che ci univa era invece l’amore univoco per le salite. Comunque, ora che ci penso, non so se eri su una salita la prima volta che perdesti la memoria. Non credo però. La salita chiede tanto ma non l’abbiamo mai percepita come traditrice. Ha le sue regole, i suoi tempi, la sua pendenza, cose che si conoscono già quando ci si decide ad affrontarla. Al limite sei tu che non sei alla sua altezza e arranchi più del dovuto. Lei invece è onesta: quando la vedi sai già cosa aspettarti e se sei onesto anche tu con te stesso, capisci subito quale sarà il prezzo per arrivare in cima. Così, sono convinto che la prima volta che perdesti la memoria fu su un tratto in piano, di quelli infiniti, in cui le gambe girano sempre allo stesso ritmo, quasi senza variazioni. A casa raccontasti che ti dovesti fermare, e chiedere al tuo amico di pedalate dove stavate e come eravate arrivati sin lì. Sembrava impossibile non lo rammentasti. Quello ti guardò stupito, fino a quel momento avevi fatto strada tu, non era possibile ti fossi perso. Ma non ti eri smarrito, semplicemente non ricordavi proprio come foste arrivati dove eravate. Il tuo amico si preoccupò, ti fece mettere seduto su un paracarro e ti dette da bere dalla borraccia. Ti offrì anche una caramella e poco a poco la memoria tornò. Una volta arrivato a casa, ti sembrò solo uno di quei scherzi buffi che a volte fa la mente affaticata. Uno scherzo che da allora capitò però altre volte. Non spesso, forse solo due o tre volte in tutto, e mai più mentre pedalavi, ma comunque il giusto per far preoccupare noi più di te. Quando l’età portò problemi agli occhi, con il campo visivo che diminuiva e l’equilibrio che iniziava a essere difficoltoso, decidesti che era venuto il momento di mettere a riposo per sempre la tua bici. Non riesco a immaginare il tuo stato d’animo l’ultima volta che l’appendesti ai ganci che scendono dal soffitto della cantina. Era lì che la tenevi per ingrassarne gli ingranaggi e pulirla e fu lì che la vernice rosso Ferrari iniziò a coprirsi per la prima volta della polvere del tempo. Ora, sono seduto vicino al tuo letto, la forchetta che spezzetta nel piatto quello che sto per darti da mangiare. Ripenso a tutti gli anni che sono passati, al tempo in cui i nostri ruoli erano invertiti, a quando eri tu che imboccavi me bimbo. I tuoi occhi sono chiusi, forse per fuggire a ciò che non vuoi vedere e soprattutto vivere. Apri la bocca solo quando senti la posata sfiorati le labbra. T’immagino ancora una volta in piedi sui pedali alle prese con una ripida salita, il contrario di questa ripida parabola discendente che richiede invece anche più fatica. Sei sempre più assente. Bastano poche ore perché dimentichi quello che è successo e il passato è sempre più avvolto in una nebbia che confonde tutto, in cui particolari, nomi, volti si dissolvono in un crogiolo in cui la tua vita stessa non può che fondere. Vivi solo di sensazioni e bisogni, incapace oramai di coordinare ed esporre la più semplice delle cognizioni. E’ la tua ultima salita quella che stai affrontando, vecchio ciclista oramai senza più memoria. La più dura. Spero che sia breve e che tu giunga presto alla fine del tuo giro. Ora meriti il riposo."