Un anno fa scrivevo qualche riga a proposito del tentativo di unire durante un’unica giornata le due creste principali che attraversano il gruppo montuoso del Gran Sasso: il sentiero del Centenario (che passa su Monte Brancastello, Monte Infornace, Monte Prena e Monte Camicia) con la Traversata delle Malecoste (il percorso che transita invece per Monte Portella, Pizzo Cefalone, Malecoste, Camarda, Ienca e San Franco) unendoli attraverso il Monte Aquila, per arrivare dal Passo delle Capannelle fino a Fonte Vetica. Una passeggiata di salute, come avrebbe detto un mio vecchio amico: circa 40 km di sviluppo, una ferrata semplice ma non banale e sali e scendi per complessivi circa 3000 metri di dislivello positivo e quasi altrettanti negativi. Quest’anno, a denti stretti, siamo riusciti infine a completare il progetto. Scrivo a denti stretti perché sotto il caldo del sole di agosto, i chilometri percorsi a piedi non sono certo scivolati dolcemente: oltre 5 litri d’acqua per uno andati giù senza lasciare mai nemmeno umide le labbra. Eppure, a dispetto della fatica che lungo gli ultimi 1000 metri di dislivello percorsi in discesa dalla vetta del Camicia ci facevano dire che “arrivati a una certa età, certi sforzi dovrebbero essere proibiti” la soddisfazione è stata grande. Come già scrissi un anno or sono sullo stesso argomento, camminare su un percorso così lungo e impegnativo mette in stretta relazione con l’ambiente. La fatica prolungata, i passi che si susseguono senza sosta, la luce che cambia durante la giornata, passando dalla notte al pomeriggio, il vuoto e l’esposizione di alcuni punti, sono tutti elementi che concorrono a modificare la capacità di percepire quello che ci circonda. Al termine si è letteralmente diventati parte del cammino stesso, parte di quel mondo che si è attraversato, tanto che persino il movimento con cui si alza e si abbassa la nostra cassa toracica non è più la stesso: si è modificato, diventando simile a quello del respiro della montagna.