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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Ivo Ferrari


ASSETATI D’INVERNO

Tre ore a trascinarsi nella neve alta oltre le ginocchia. Imprecazioni, spiegazioni del perché ci trovassimo lì, in pieno inverno, carichi come muli verso una parete ombrosa. Vale, davanti, cammina e sbuffa, bestemmia e maledice la sua scelta. Vale, davanti, è felice della sua scelta.

Sistemiamo il materiale: ormai abbiamo deciso. Il secondo porta lo zaino: enorme come pochi, carico di tutto, vizi compresi.

Si parte. Ma chi parte? Testa o croce. Avanti, Vale. Ordino le corde mentre lui sta già salendo. La neve è dura, la neve è molle, fatica, freddo. Vale continua: pianta diversi chiodi. Il facile o poco difficile dell’estate si è trasformato in battaglia per guadagnare pochi metri, con la grande attenzione che serve per non perderli tutti in un attimo. Intorno è l’inverno, carico della sua luce. Intorno è un gran silenzio.

Raggiungo Vale, riparto. Vale mi raggiunge… il tempo passa e ci troviamo accovacciati, riparati nei nostri sacchi di piuma. Fuori, oltre i nostri pensieri, la notte buia. Una piccola fiamma scalda l’acqua: vogliamo un po’ di tè. Fuori lunghe e fredde ore ci tengono… dentro.

È sempre difficile uscire, abbandonare il caldo e le belle ragazze che tengono compagnia… È sempre difficile ricominciare a salire… La roccia gelida mi dà la sveglia su una lunghezza in obliquo verso sinistra: le dita, in sosta, non ne vogliono sapere di scaldarsi. Aspetto con ansia il dolore che ti fa scendere le lacrime, quel dolore che poi si trasforma in benessere, quasi un orgasmo.

Vale riparte. Sopra di lui una placca sgombra di neve, lisca e all’apparenza priva di appigli. Ma Vale scala bene: forse è un talento, forse è un pazzo furioso. Vale scala bene ed è questo, ora, quello che conta. Scala bene e a venti metri da me si ferma: nessun rumore, nessuna imprecazione, fermo immobile aggrappato a non so cosa.

Lo vedo sfilare velocemente uno sky-hook dall’imbragatura. Più gelido del freddo che lo circonda vi aggancia una staffa, vi sale sopra… fermo. Assolutamente immobile: sotto di lui una sola protezione, sotto di lui… io, impietrito su una cengia.

Un altro movimento, un altro gancio, un’altra staffa. Momenti di pura paura. Se salta, Vale diventa un missile, verso il basso. Allunga un braccio, il piede è sul penultimo gradino e… ecco una buona presa: la stringe con tutte le sue forze, il suo peso abbandona il gancio che resta lì, ancora immobile, come suo “fratello” pochi centimetri più sotto. Vale è salvo, siamo salvi!

Prima del buio siamo in cima. Sopra non c’è più niente da salire, sotto soltanto il desiderio di raccontare.

Scendiamo per un po’ nell’oscurità. Poi le stelle e Chi ci guarda da lassù fermano la nostra giornata… ritorniamo con le donne nei nostri sacchi…

Altro giorno, avanti tutta! Giù, sempre più giù: ora ci tormenta la sete, il versante lungo cui stiamo scendendo è l’opposto di quello che abbiamo salito. Qui fa caldo, c’è il sole. Pratoni carichi di neve molle: li attraversiamo, fradici di sudore e assetati. Una baita: nessuno in giro, nessuno dentro. È chiusa ma, da fuori, scorgiamo bottiglie di lemonsoda! Che fortuna… che sfortuna per i poveri proprietari! Il vetro si rompe e beviamo: siamo diventati alpinisti vandali, alpinisti ladri!

Sono passato di recente dalla baita: il vetro della finestra è stato cambiato. Vale scala bene: forse un talento, forse un pazzo furioso… Ma Vale non c’è più, se n’è andato. Vale è un ricordo bellissimo, Vale è dentro di me, Vale è un amico. Vale è una bellissima invernale dal finale alla lemonsoda.

Vale… grazie.

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