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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Luigi Calabrò


PENSIERI MONTANI

Le mie montagne! Tutti dicono le mie montagne. Già, di chi sono queste montagne? Io le sento mie perchè non smetto di farne la conoscenza, le cammino, le attraverso, le studio, ma c’è chi le ha scalate da più versanti con difficoltà sempre maggiori e ne ha esplorato le pieghe più intime. Forse sono sue.

Forse sono di chi ha perso la vita per difenderle o solo per conoscerle. Ma c’è chi le sente sue solo perchè ama vederle con rispetto dalle valli o dai rifugi e magari quando torna in città gli capita di pensarci all’improvviso commuovendosi al ricordo di un pomeriggio passato a levigare con lo sguardo quella cima. E si fa travolgere dalla nostalgia. E forse a me che sono scanzonato non succede. Come possono non essere anche sue?

Il problema è a monte. E’ da pazzi innamorarsi delle pietre.


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...forse è inutile andare in giro a vedere troppe cose, è una sorta di bulimia visiva. Alla fine non ti resta niente, perchè vedere non è posare gli occhi su qualcosa, vedere è capire. Quante volte abbiamo visto Guernica? Ma l’abbiamo capita? Ognuno di noi ha un numero limitato di cose da capire, il limite è dato dal tempo necessario per studiarle. Il resto sono cartoline turistiche, basta guardare la foto.

Quanto tempo ci vuole per capire la Tofana de Rozes?


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“...e ricoprir di terra un sassolino bianco sperando possa

nascere un giorno la Croda Rossa.”


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Tutti qui a cercare la bellezza. Neanche i soldati in guerra rinunciavano alla bellezza se passavano ore a decorare le finestrella del baraccamento. A cosa servivano quei ghirigori a 3.000 metri a 40 sotto zero con le pallottole che fischiavano tra le forcelle? Eppure...

La bellezza si riconosce senza conoscerla, si trova senza sapere cosa sia. Altrimenti perchè ascoltando insieme l’assolo di un musicista ci si guarda negli occhi e ci viene da sorridere? Tu stai lì a sentire un musicista che a un certo punto trova la bellezza e la comunica, apre uno spiraglio e tu che lo ascolti riesci a sbirciare in quello spiraglio e vedi la bellezza. Poi ti guardi intorno e ti accorgi che anche altri l’hanno vista, lo capisci perchè sono tutti lì a sorridere come ebeti. Gli ebeti della bellezza.

Ecco, qui passi dagli abeti della bellezza che rilassa alle rocce della bellezza che atterrisce. A chi sorrido?


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Il fascino delle rocce è anche tattile. Dà una sensazione di sicurezza reggersi a tutti quegli appigli che trovi in parete, quando li trovi, ma quello che resta nella memoria è una sensazione porosa, come se la dolomite traspirasse. Il suo respiro si sovrappone al tuo e tu lo cadenzi meglio, trovi il ritmo giusto per salire. Ci si scambiano le pulsazioni e se scatta qualche aritmia, vuol dire che hai sbagliato qualcosa. Alla fine ti resta un velo bianco sulle mani: è la roccia che si sfarina, ti lascia sedimenti corallini tra le dita. Ti restituisce il tempo che gli anni ti strappano via. E tu continui a salire impastato di secoli e di ricordi.


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Guarda qua! Una nigritella! Erano anni che non ne vedevo una. Questa mania di raccogliere i fiori! Perchè togliere agli altri l’emozione che sto provando? Qualcuno ha detto che cogliere un fiore è strappare un pensiero alla terra. La nigritella o morettina è vittima del suo profumo, una cosa a metà tra il cioccolato e la vaniglia. Per questo la chiamano anche vaniglione o Palmacristi Fragrantissima.

Ecco, vedi quanti nomi ho imparato? A volte mi chiedo a che mi serve saperli. Poi mi viene in mente Nada Ovcina, un nome improbabile, difficile da ricordare, ma quando te lo trovi scritto dappertutto perchè è la moglie separata di Gianni Nazzaro che, non so perchè, fece scalpore ti restà lì, annidato nella memoria e tu te lo ricorderai per tutta la vita. Un ricordo inutile insieme a tanti ricordi inutili ammucchiati nella memoria ad occupare abusivamente scomparti che non utilizzerai mai. Sarà più bello o no sapere invece il nome della nigritella? Ci sarà differenza o no tra Nada Ovcina e la Palmacristi Fragrantissima?


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Ecco la croce della vetta! Dalle mie parti c’è una manica di ottenebrati che si sobbarca due-tre ore di scarpinata per il gusto di svellere le croci dalle cime. Fatica inutile. Te le ritrovi a valle, una dopo l‘altra, giorno dopo giorno. E non c’è Cireneo che te le renda più leggere. A meno che tu non accetti la fatica di salire. Il segreto è nell’ascensione. Più sali, più leggera è la fatica. La montagna ti insegna la pazienza, il piacere della fatica per una croce da abbracciare.


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Invidio chi abita a due passi dalle rocce, coi loro ricordi e i loro racconti che grondano sudore e camosci, nebbie e temporali, fragole e sangue. Io vivo a Roma e vengo qui d’estate coi ricordi che grondano semafori e parcometri. Anche se poi una montagna ce l’abbiamo: il Terminillo, la montagna dei romani. Solo che, visto come l’hanno ridotta, più che una montagna, sembra una puttagna.



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“Dice il vecchio montanaro...” e giù un consiglio che gronda esperienza millenaria e che ognuno passerà agli altri come un testimone prezioso. Se un giorno diventerò anch’io un vecchio montanaro, bisogna che mi prepari qualcosa. Qualcosa tipo: “Le scorciatoie si fanno solo in discesa, perchè in salita sono troppo ripide e faticose. Così nella vita. Mai fare scorciatoie prima di arrivare.” Sì, ma quando arrivo? E dove?


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Quando ti porti dietro qualcuno che non è esattamente un amante della montagna non hai scampo, prima o poi arriva, ineluttabile, la mannaia: “Quanto manca?”  Seguita a ruota da “Quando si mangia?” Il sublime si tocca con “L’hai portato il pallone?” Ci sarà un sistema per aiutarli a denudarsi?


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In montagna sei come lo scultore, lavori per sottrazione. Via i capitelli e le decorazioni, sei solo tu e le difficoltà in forma di roccia. Via i gusci e le maschere, hai a disposizione solo mani e piedi. A volte, in bilico sull’abisso, capita di sfiorare il grande segreto.

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N.d.R.:

Questa volta non si tratta di un vero e proprio racconto. E’ una cosa differente. Si tratta di brevissimi scritti, quasi haiku in prosa. Piccole riflessioni che nascondono la voglia di provare a vedere cosa c’è oltre lo scontato e il banale.

Un modo per esplorare se stessi e quello che ci circonda. Un modo per provare a scoprire cosa c’è nel rapporto segreto e misterioso che lega tanti di noi alle montagne.

Buona lettura.