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ALBERTO SCIAMPLICOTTI
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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Alberto Sciamplicotti


UNA STORIA DEL GRANDE FREDDO

Qualche anno fa andai in Groenlandia. La Groenlandia la conoscete tutti, è quell'isola gigantesca situata all'estremo nord, fra il continente americano e quello europeo. Andare in Groenlandia per chi ama lo sci, è un po' come andare in pellegrinaggio nella Terra Promessa. La Groenlandia è infatti il luogo dove nacque lo sci moderno con l'incredibile traversata di Nansen. Inoltre la Groenlandia, è anche un posto di una bellezza sconvolgente, uno di quei luoghi che è l'essenza stessa del selvaggio. Probabilmente questo è dovuto al fatto che è stato uno degli ultimi posti dove siano giunti gli esploratori. La "civiltà", con due virgolette grosse così, è arrivata in Groenlandia poco più 60-70 anni fa. Prima di allora, chi viveva lì continuava a farlo come prima di lui avevano fatto tutti nei precedenti 5000 anni. Ecco, immaginate la cosa. Sarebbe un po' come dire che ancora nel 1946 a Roma, in Italia, in tutta Europa si fosse solo all'inizio dell'età del bronzo e che lo sviluppo successivo (l'età del ferro, la civiltà ateniese, quella romana, il medioevo, il rinascimento, la rivoluzione industriale) sia avvenuto tutto e solo dal 1946 a oggi. Una cosa impensabile. E invece ai groenlandesi è andata proprio così. Insomma, questo per provare a far capire la particolarità di questo posto oltre alla sua bellezza. Eppure, oltre a questo, all'incredibile bellezza, al senso del selvaggio, alla passione per lo sci, c'era un'altra ragione che mi spinse fin lassù. Una ragione che probabilmente era forte come tutte le altre messe insieme. Volevo conoscere e intervistare Robert Peroni, un altoatesino guida alpina che aveva scelto di vivere in quei luoghi per provare a salvare la cultura del popolo Inuit. Robert Peroni era stato sciatore dell'estremo e dopo ad aver attraversato la Groenlandia d'estate aveva anche provato a farlo d'inverno, durante la notte artica, al buio quindi, e con temperature fino a -70°. Insomma, una persona almeno all’altezza del posto in cui aveva deciso di passare la sua vita. Durante quelle ore passate con lui a registrare la sua intervista, mi raccontò una storia avvenuta intorno agli anni ’50 del XX secolo vicino a Tasiilaq lungo la costa sud est della Groenlandia. All’epoca ancora non era arrivato nessun europeo o americano e chi viveva lì al massimo aveva conosciuto uno degli abitanti dei piccoli paesi Inuit dislocati lungo la costa dove tutto era come sempre era stato. Era per loro un mondo immutabile quindi, o almeno lo era stato fino a quel momento. Insomma, in un giorno d’estate mentre la popolazione di questo piccolo villaggio viveva la normale vita di tutti i giorni, pescando, cacciando, raccogliendo bacche o lavorando pelli di foca, si iniziò a sentire nell’aria uno strano rumore. Era un rumore che nessuno aveva mai udito prima, un rumore che non era quello del vento, quello del mare o quello di un animale conosciuto, era come un ruggito che andava aumentando e che non si capiva da dove arrivasse, cresceva solo di potenza. La gente si radunò spaventata al centro del villaggio. Poi qualcuno vide l’origine del rumore mai udito prima. Dal mare stava giungendo un mostro lucente che ruggiva. Era diretto verso la spiaggia del villaggio e sulla groppa aveva tre esseri più piccoli. Il mostro solcava l’acqua veloce, lasciando dietro di sé una scia come nemmeno le balene facevano: il segno della velocità con cui navigava. Qualcuno urlò, qualcuno disse che era le fine del mondo, qualcuno pregò. Poi fuggirono tutti, per nascondersi dietro le case, dietro i massi o dietro qualunque riparo trovassero. La paura aumentò ancora di più quando il mostro si arenò sulla riva e dalla sua groppa scesero i tre esseri. Sembravano uomini come loro, con braccia e gambe, solo… solo che la loro testa era tutta mischiata, i loro volti erano al contrario! Potevano essere solo demoni, demoni che venivano a prenderli per portarli via. I demoni iniziarono a cercarli, entrarono nelle loro capanne e poi si misero al centro del villaggio in attesa. Solo molto dopo gli uomini più coraggiosi trovarono la forza per uscire dai nascondigli e andare loro incontro, affrontando la sorte che il destino gli aveva portato. Era l’incontro con i primi americani, giunti sin lì da una base militare radar posta più a nord. Il mostro lucente era una barca in metallo, il ruggito il rombo del suo motore, e le loro teste al contrario, mischiate, erano volti normali ma con lunghe barbe. Gli Inuit era la prima volta che vedevano un uomo con la barba perché a loro non cresce.

La storia era stata raccontata direttamente a Robert Peroni da uno di quelli che l’aveva vissuta. Era un bambino all’epoca, ma l’avvenimento era stato così forte che ogni particolare gli era rimasto impresso indelebilmente: sarebbe come se al giorno d’oggi scendesse dall’alto una gigantesca astronave, una cosa tipo la Morte Nera di Guerre Stellari, e dal suo interno ne uscissero direttamente Jabba The Hut e Lord Fener. Credo che anche mio figlio conserverebbe indelebile ogni particolare di un avvenimento del genere. Quello che non sapevano allora gli Inuit è che realmente quell’incontro segnò la fine della loro civiltà, del loro modo di vivere. Tutto nel giro di pochi anni sarebbe cambiato e nulla sarebbe più stato come era sempre stato. Adesso, a ogni inizio stagione quando i ghiacci si aprono, quella scena di circa 70 anni fa sembra ripetersi. Dall’Europa o dagli Stati Uniti arrivano le navi cargo con tutte le mercanzie desiderabili: telefonini, computer, alimenti mai visti prima ma anche medicine per malattie che prima non c’erano. La prima cosa però ad essere scaricata e venduta negli spacci del paese sono le casse dei liquori. La Groenlandia, oltre a essere una terra bellissima, è al suo intero ricca di minerali di ogni genere. Lungo la costa invece ricerche geologiche hanno rivelato la presenza di importanti giacimenti di petrolio. E gli Inuit, vissuti per oltre 5000 anni fra quelle terre, cacciando e pescando, non hanno dentro di sé gli enzimi per assimilare l’alcol. Basta meno di un bicchiere per ubriacarli.

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