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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Fabrizio Vago


MAMMA VADO A VEDERE LE DOLOMITI

Fabrizio vago gestisce il sito www.ilmountainrider.com con questo racconto inizia la collaborazione con “Giochi di scrittura e montagne”.

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Nicolas Chamfort, noto scrittore francese anticonformista amava dire che le passioni fanno vivere l’uomo, la saggezza lo fa soltanto vivere a lungo. Qualcuno magari non sarà d’accordo con questa frase ma ogni volta che la leggo mi sento fortunato: sono sicurissimo che senza la montagna la mia vita non sarebbe stata così bella!

Quella per la montagna è una passione che viene da lontano: ero ancora un bambino quando mi scoprivo a sognare le montagne sui banchi di scuola. Il maestro spesso mi riprendeva ma io appena potevo preferivo rifugiarmi con la mente lassù, in un universo fatto di boschi, ruscelli, valli, ghiacciai e scintillanti distese di neve.

Che strano, eppure nessuno dei miei genitori è stato mai un amante del genere. Mia madre addirittura l’ha sempre odiata, la montagna, chissà se un giorno capirà mai questa passione esplosa durante la mia adolescenza.

"Mamma, vado a vedere le Dolomiti..." era quello che ero solito dire a mia madre quando, ancora adolescente uscivo dalla porta di casa, da solo e con lo zaino in spalla per raggiungere a piedi la cima dello Zuc di Valliselle (1632 mt.). Quando glielo dicevo ero già carico come una molla, nessuno poteva fermarmi.

Quella montagna in quel particolare momento della mia vita era il mio rifugio segreto, il luogo della mia trasgressione.

L’avevo scoperta per caso in un bel giorno di primavera insieme ad un mio caro amico di scorribande. Ci arrivammo dopo un lungo vagabondaggio nella neve marcia. Era il 1988 e ricordo che, nonostante fossimo già ad inizio maggio, uno spesso manto di neve ricopriva ancora gran parte dei pendii più in alto. Poco sotto, in una valletta esposta a sud, alcuni faggi mettevano già in bella mostra le prime foglie di un color verde tenue, in un tripudio di contrasti difficilmente spiegabile.

Finalmente in cima, in pantaloni corti e con la neve fino al ginocchio, feci una grande scoperta: da lì si vedevano le Dolomiti! Non potevo crederci e cominciai a non stare più nella pelle per la felicità. Mi ripetevo “ma come è possibile che appena dietro le montagne che vedo tutti i giorni da casa esista un posto del genere” Non riuscivo a capacitarmi! Da quel giorno, per almeno un anno, appena potevo correvo lassù.

La cosa bella infatti era che potevo arrivarci anche in modo totalmente autonomo. Non avevo bisogno di qualcuno che mi portasse in macchina fino a dove inizia il sentiero e nemmeno di qualcuno che mi accompagnasse. Bastavano le mie gambe e la mia volontà. Il percorso lo conoscevo già molto bene. Detto questo, dovevo solo mettere d’accordo me stesso e tornare a casa entro un’ora decente per non far stare troppo in pensiero i miei genitori.

Assolutamente non ci facevo caso ai 1500 metri di dislivello che separano casa mia dalla cima dello Zuc. Anzi l’idea di andarmene da solo in cima alla mia montagna preferita mi esaltava. E poi una volta lassù, se ero fortunato e il tempo nel corso dell'escursione non si guastava, potevo vedere le Dolomiti: il Pelmo, la Civetta, il Bosconero, lo Schiara, il Sass Maor mi si paravano davanti all’orizzonte all'improvviso. Una vera festa per i miei occhi di adolescente sognatore.

Lo Zuc, come lo chiamo io, non è assolutamente una montagna famosa, non ha una croce e nell’ultimo tratto, nei pressi della cima, anche le poche tracce del sentiero esistenti si perdono tra la vegetazione. Di fatto è una perfetta montagna anonima quasi per tutti ma non per me. Si trova nelle Prealpi Carniche ai margini del Bosco del Cansiglio al confine tra la provincia di Pordenone e quella di Belluno in una zona ricca di doline e di piccole lame d’acqua.

Nelle giornate terse da lassù è possibile godere di un incredibile panorama, che abbraccia la sottostante pianura, il mare Adriatico, le Alpi Giulie, la piana del Cansiglio, i monti dell'Alpago e le Dolomiti.

Ancora adesso, a distanza di più di vent’anni, salire su questa montagna a modo mio mi riporta alle origini della mia passione. Almeno una volta all’anno a maggio, quasi in una sorta di rito, ripercorro con enorme piacere quei sentieri che tanto amavo fare da solo quando ero poco più che un bambino. Dopo tanti anni di scalate ed escursioni in giro per le Alpi, anche le Dolomiti hanno perso un po’ della loro magia e del loro fascino iniziale ma lo stupore che provo appena arrivo lassù è sempre lo stesso. E poi salire una montagna partendo dalla pianura vuol dire avere la possibilità di osservare con calma il mutare della vegetazione e dell’ambiente man mano che si sale.

Durante il lungo tragitto i miei pensieri vagano su come doveva essere dura la vita, un tempo, in questa zona delle Prealpi così povera di acqua quando i malghesi, insieme ai loro animali, rimanevano tra queste alture per tutto il periodo estivo, per poi scendere in pianura con l'arrivo dei primi freddi. Rispetto a quei vecchi che ora non ci sono più, che hanno veramente vissuto tra queste montagne, mi sento tutte le volte un semplice turista della domenica.

L’ultima volta che ci sono salito è stato l’anno scorso. Ovviamente era maggio. Sono partito a piedi ancora una volta dal garage di casa per ripercorrere quei sentieri e per rivivere questa esperienza. Sono partito presto quando l’aria era ancora frizzante. Le montagne sopra casa erano verdissime e solo le cime presentavano ancora qualche segno dell’inverno appena passato. Come sempre quando cammino in questo posto le ore scorrono lente. Quando sono arrivato in cima era quasi mezzogiorno e più di qualche nube era salita in cielo purtroppo. Anche il Pelmo, la Civetta, il Bosconero, lo Schiara, il Sass Maor erano avvolti dalle nubi e da quel sottile velo di mistero che tanto mi affascinava quando ero ragazzo. Pazienza, tornerò...

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