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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Luigi Cianciusi


IL PELLEGRINO

Oggi arrampichiamo alla “Santissima”, cioè sulla grande parete che sovrasta il santuario della Santissima Trinità, in tenimento di Vallepietra. Tra lo spigolo del “Magico Alverman”, che la delimita a Sud verso destra, e la placca di “Excalibur” che la definisce a sinistra, la parete è concava, enorme, strapiombante, stupenda: l’unica, per Pierluigi, che nella zona abbia il carattere dei grandi muri dolomitici saliti con Hans e Luisa, con Tony e con Massimo, e naturalmente con Alvaro e con Vito.

Siamo al quinto tiro di “Atreju”. Duecento metri più in basso il santuario sembra piccolo piccolo, bianco e racchiuso tra mura gialle di roccia, sovrastato da “tetti” che fanno paura. Pierluigi supera in “A/0” l’ultimo strapiombo, traversa a sinistra su placca ed avverte che questa è “piuttosto difficilotta”, poi prende un diedro e in un attimo è fuori.

“Molla tutto!” mi grida, mentre già preparo una staffa. La utilizzo sui primi ancoraggi e raggiungo la placca, dove trovo conferma del fatto che “difficilotto” è la definizione che Piero dà al sesto grado. Al culmine della grande parete la placca è quasi priva di appigli, verticale ed esposta. Adesso che salgo in libera le pedule lavorano in aderenza.

Guardo in basso per “prendere atto”, per godere del punto in cui sono arrivato, e poi guardo in alto per capire se “difficilotto” è anche il diedro. Appena in tempo: alzo la testa e faccio appena in tempo a schivare l’impatto col falco che, dal cielo, mi si precipita contro. Mi sfiora, fa una virata e torna su verso l’alto.

Pieluigi neppure l’aveva veduto, ma il falco non molla, viene ancora all’attacco. Mi vola intorno e mi sfiora e minaccia con la forza di chi difende non sé, ma qualcosa di ancor più importante: un nido, i pulcini, la specie.

Mi sbrigo, e senza badare troppo allo stile esco in fretta dalle difficoltà della via. Si allontana anche il falco, mandando due gridi, ed è chiaro che adesso il nido più non corre pericolo. Deve essere lì, un poco più in basso, ma ormai fuori dalla nostra portata. Comunque lì intorno, da qualche parte, c’è una famigliola che vuole stare  tranquilla. Così ci avviamo, cercando di non dare ulteriore fastidio.


-“Gli è annata bene!”, fa Pierluigi, scherzando, “ca' se mo c’era Vito…La sai, no, quella storia?”

-“Quella del falco a Sperlonga?”

-“Ar Moneta, p'esse precisi.”

-“Ne ho sentito parlare, ma non lo so com’è andata.”


Allora Pierluigi racconta:


“Eravamo io, Vito, Alvaro ed un paio d’altri amici. Lungo la strada, tra il ponte e il Mozzarellaro, c’erano ferme due Jeep della Forestale. Sei o sette Agenti guardavano a turno in un cannocchiale, puntando verso la cima del monte Moneta. Noi passiamo, con gli zaini e le corde, e un Forestale ci viene incontro:

<E’ arrivato!>, ci dice, <E’ arrivato!>

<Chi è arrivato?> fa Vito.

<Il Pellegrino! E' al Moneta!>

<Ah! Er pellegrino?>, si preoccupa Vito, pensando che il Forestale ci voglia avvertire di qualche pericolo. La testa, che sempre gli oscilla per via di una sua malattia, ora si muove ancora più svelta per l’ansia, mentre lui si fa più vicino e domanda: <Ma chi è’r pellegrino?>.

“E’ un falco”, dico io, e allora lui, più tranquillo: “Ma io non c’ho mica paura!”

Si dà un’aria decisa, si passa una mano in mezzo ai capelli, si mette in posa, un po’ di profilo, e guardando il Forestale negli occhi gli dice: <Ca c’ho un chiodo io…ca glie stacco la testa de netto!>”


-  "E quello?", gli chiedo.

- “Capirai! I Forestali erano tutti soddisfatti, col falco che stava come in vetrina proprio sulla cima del monte Moneta, fermo come uno de quegli animali imbalsamati, messi là per fasse guardà, e Vito invece insisteva che <non c’era nessuna probabilità de rischio> e che al falco <lui glie staccava la testa de netto>!

Il Forestale sembrò sconcertato ma mantenne la calma, ci passò in rassegna e domandò: <Ma voi dove andate?>

<Noi annamo a fa le scalate>, fece Vito, orgoglioso.

<Eh no!>, disse quello, <Qui non si possono fare scalate. Finché c’è il Pellegrino qua non s’arrampica!>


-“E quindi avete mollato?”

-“No, no. Poi quelli se ne sono andati e…Ma adesso il problema era un altro: Vito sembrava zio Paperone quando negli occhi gli scatta il segno del dollaro per tutti soldi che ha speso. Già aveva fatto i conti che aveva messo 1.500 Lire di benzina, che s’era pagato il cappuccino...

<Come sarebbe?>, provò a dire, <Come sarebbe che non se fanno scalate?>

E poi attaccò il piagnisteo:  <Ma noi abbiamo speso svariate e svariate migliaia di Lire…e pare che non c’è nessuna probabilità che sti soldi ce li ridanno>.

Il Forestale, però, fu inflessibile: <Non si fanno scalate. Il pellegrino è protetto!> 

<Hai capito sto pellegrino!> disse Vito, e fu chiaro che non l'aveva col falco, perché il braccio era alzato in direzione del Forestale.

Per evitare che quello ci arrestasse, prendemmo Vito e lo riportammo dal Mozzarellaro.”


Il racconto è finito. Io ricerco con gli occhi la via che abbiamo scalato e vedo che il falco ancora volteggia, lontanissimo adesso che noi siamo al piazzale. E' una piccola macchia che ancora svolazza all’altezza dell’ultimo tiro di Atreiu. Lo indico a Piero, che sta rifacendo lo zaino, ed intanto passano alcuni fedeli che dalla chiesa si riavviano in salita.

-“Pellegrini anche loro!”, scherzo io.

-“Eggià!”, raccoglie subito Pierluigi, “Ma i pellegrini qui vanno e vengono! Il falco no: <Quello resta>, diceva Vito, <dalla primavera all’autunno. E che te pare che non s’arrampica pe tutto l’anno? Sei un pellegrino? E allora sgommi! Co na certa pacilità te incammini e vai a fa’ il pellegrino da n’altra parte! O no? Prendi il tuo fagottello, lo appendi al tuo bastoncello, lo passi dietro all’ala e te trasferisci co na certa pacilità>"

-“E certo!”, ridiamo, “Altrimenti che pellegrino sarebbe?

-“Fagottello…”, insiste Piero, “bastoncello...gambe in spalla… si sgomma! Questa è la vita del pellegrino, e invece noi stiamo qua e arrampichiamo."


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