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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Piero Lancia


RACCONTO DI CAPODANNO

(Con questo racconto, inoltrato dall’amico Alberto Osti, Piero Lancia esordisce su Giochi di Scrittura e Montagne. Spero presto di poter inserire qualche altro suo racconto)


Quando mi sveglio la luce filtra già dietro le tapparelle, deve essere giorno da un po'. Non mi va di alzarmi, resto impigrito a letto... altri dieci minuti... come se dovessi andare al lavoro. Quando metto il naso fuori mi accorgo che è una splendida giornata di sole. Da casa mia si vedono le montagne, fortunatamente: sono splendenti, nitide, di un bianco abbagliante che le ricopre fino ai piedi. Sarebbe proprio il caso di muoversi, però è già tardi, mi sento un po' stanco e appesantito: gli eccessi di cibo dei giorni scorsi incidono negativamente anche sul mio umore, mi inducono un po' di depressione. Però è proprio una giornata eccezionale. Se da casa non si vedessero le montagne non ci avrei neanche pensato a muovermi da casa, invece sono lì candide sotto un cielo blu intenso: un richiamo troppo forte. Decido di andare a Prato di Campoli, il posto più vicino da casa, poco più di mezzora di macchina. Già a 7-800 metri di quota, uno strato di neve ghiacciata ricopre la strada, guido con prudenza; quando la neve comincia ad essere alta, parcheggio e proseguo in sci. Seguo il ciglio della strada per pochi metri poi scendo nel bosco. Il sole colora gli alberi di grigio; nelle radure, le ombre dei tronchi e degli rami disegnano neri reticoli geometrici sul bianco della neve. Pian piano vengo risucchiato dal bosco e dal silenzio. Mi rimprovero di non essermi preparato in tempo, era una giornata che meritava un itinerario di maggior soddisfazione. Guardo in su, verso le cime: mi accorgo che la neve non è poi tanta e che i fianchi della montagna tendono già a pulirsi. Giustifico la mia pigrizia: si può sciare solo nel fondovalle dove la neve s'è accumulata, non c'era molto più da fare. Sarei potuto andare in Abruzzo: no, non è una buona idea, le strade sono ghiacciate, avrei dovuto mettere le catene, andare piano, perdere tempo; e poi durante le feste c'è troppa gente, dovunque. Meglio la tranquillità di questo breve itinerario. Mi torna in mente un messaggio di auguri che, nei giorni scorsi, girava sulla posta elettronica con una citazione di Camus: “c'è sempre una filosofia per la mancanza di coraggio”. Sono stato poco coraggioso? Non ne faccio un dramma.

Scelgo con cura il tracciato tra gli alberi evitando i rami caduti e qualche sasso che affiora. Ogni tanto torno un po' indietro per saggiare come sarà in discesa: non c'è male, ripercorrendo le mie tracce si scivola in modo gradevole. Certo non sarà una giornata memorabile, per oggi va bene così. Mi chiedo quali siano state le giornate davvero memorabili, quelle di cui si parla per anni con gli amici, quelli che c'erano e anche quelli che non c'erano. Senza dubbio quelle in cui succede un imprevisto: quando ci si perde e si vaga per ore senza sapere dove, quando ci coglie un temporale o una nevicata improvvisa, quelle in cui, disgraziatamente, qualcuno si fa male; sono escursioni terminate, quasi sempre, a notte fonda.

Era un santo Stefano di tanti anni fa, tempo asciutto e neanche un filo di neve: ci affidammo ad un amico che ci propose una traversata, poco lontano da qui. Lo conoscevamo bene come un gran camminatore e maratoneta e avanzammo qualche dubbio ma lui ci rassicurò. Qualcuno si stancò un po' troppo durante la salita; il sole tramontò quando avevamo appena cominciato la discesa. Perdemmo il sentiero, cominciammo a scendere su tracce incerte nella notte incipiente; finimmo in un uliveto a saltare i muretti a secco, nel buio più assoluto. Quando arrivammo finalmente in paese, di corsa a cercare un bar e un telefono a gettoni per rassicurare le famiglie che ci aspettavano per la tombola pomeridiana. Oggi non succederebbe più, un po' perché abbiamo imparato a conoscere l'amico, ma soprattutto perché su google si contano i metri di un itinerario ancora prima di partire e col gps non si perde più il sentiero; se poi si fa tardi si chiama casa col cellulare e nessuno si preoccupa. Quanto tempo è passato: un'infinità. Di arrivi a notte fonda ce ne sono stati altri. Provo a pensare quando è successo l'ultima volta. Facile: la famosa traversata in sci. Quest'anno ho provato a riproporla nel calendario CAI. Il mio amico che accompagna le escursioni in sci mi ha subito bocciato l'idea. Saggezza o rassegnazione? Il dubbio mi è rimasto. Ma allora, non la faremo mai più la famosa traversata?

Ora il bosco è più rado, gli alberi solitari e solenni. Esco sul prato di Campoli, abbagliante nel sole meridiano. Con gli occhi faccio il giro di tutte le cime che lo contornano. Il silenzio è rotto dalle grida eccitate di due bambini che spingono in su uno slittino e poi si lasciano andare per il pendio, a una velocità che a loro deve sembrare folle. Esprimono troppa gioia per essere fastidiosi, anzi sono il sottofondo perfetto a questa neve e questo sole. Sul prato, la neve è stata lavorata dal sole e dal vento, in un paio di giorni si è già assestata: accenno a pattinare e gli sci vanno. Adesso è più divertente, dopo un po' mi ritrovo in mezzo al piano, lontano, i bambini non si sentono neanche più.

Faccio un anello in modo da alternare la pendenza: in discesa, per quanto leggera, gli sci scorrono veloci. Mi viene su voglia di cantare: non è l'entusiasmo dei bambini ma qualcosa che lo ricorda, un po' da lontano. Certo se dalle finestre di casa non avessi visto questa giornata perfetta non avrei vinto la pigrizia che mi viene subito dopo i pranzi delle feste e sarei rimasto a poltrire. Meglio così. Faccio un altro giro. Torno a salire verso la sommità del prato e di nuovo in discesa, spingendo e pattinando, la neve è scorrevole. Quando trovo la neve fresca, gli sci affondano e io affondo di nuovo nei miei pensieri. Se il tempo fosse stato incerto non sarei venuto. Ormai se le previsioni meteo non sono buone preferisco restare a casa. Quando è stata l'ultima volta che mi ha preso il temporale? Il ricordo mi torna subito nitido. Era stato un anno molto avaro di neve, già ai primi di marzo si faticava a trovare un itinerario da fare in sci. Avevo lasciato perdere e non ero più stato in montagna. Fu a fine aprile che mi telefonò Michele per propormi di uscire: mi lasciai convincere per una passeggiata anche se non ero molto convinto. La mattina il tempo era bellissimo. Ci incamminammo per la val Fondillo, sul lato opposto del torrente. Non eravamo mai passati da lì e Michele si fermava spesso a guardare la meraviglia della primavera: io fotografavo le acque che scendevano allegre, la fioritura delle primule, il cucciolo di pastore abruzzese che ci seguiva. Procedemmo come due fanciulli perdigiorno fin quando non ripassammo il torrente e tornammo sul sentiero, alla fontana dell'acqua Sfranatara. Qui Michele pensò bene che se volevamo arrivare in qualche posto bisognava muoversi e prese per il sentiero. Procedemmo un po' più spediti. All'uscita del bosco, risalimmo il ripido pendio nevoso per guadagnare il valico e la cresta delle Gravare. Tirava un vento fortissimo e ci riparammo sotto le rocce per mangiare. Il cielo si era coperto completamente, dietro il Marsicano era nero. Dissi a Michele che conveniva scendere ma mi obiettò che non potevamo lasciare la bottiglia di rosso a metà: facemmo ancora uno o due giri di Montepulciano. Discendemmo il pendio innevato in preda a una vaga euforia etilica. Ben presto arrivarono le prime gocce, poi cominciò a piovere, poi a diluviare, l'acqua entrava dalla giacca e usciva da sotto i pantaloni. - Non avevi guardato il meteo ieri sera? - No, ma che importanza ha! -

Una cosa così non mi è più successa. Oggi tutti hanno uno smartphone che controllano in continuazione, per sapere sempre che tempo fa, a tale ora e in tale posto.

Quando mi squilla il cellulare mi rendo conto che ora s'è fatta. Avevo detto a mia moglie che sarei tornato per pranzo. La rassicuro e le chiedo la cortesia di lasciarmi un po' di pasta sotto al forno che quando torno me la scaldo.

Già immagino la schermaglia verbale appena metto piede a casa: è un copione che si ripete uguale a sé stesso. Stavolta però torno con la mezza soddisfazione di una mezza gita e la testa piena di rimpianti. Recito, sì, lo stesso copione ma stavolta rubo la battuta finale a Zazie.

- C'era la neve?

- Poca.

- Hai sciato?

- Si e no.

- Allora che cosa hai fatto, tutto questo tempo?

- Sono invecchiato.

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