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ALBERTO SCIAMPLICOTTI
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GIOCHI DI SCRITTURA E MONTAGNE

Roberto Iannilli


LA PIZZA BIANCA

Si sente il vociare dei miei compagni in ricreazione, rimbomba nello spazio nudo del grande corridoio della scuola in via Lazio. Appoggiato alla parete, alta e di un color giallo qualunque, aspetto che il bagno si liberi; se Enrico non si sbriga me la faccio sotto. La ricreazione dura soltanto quindici minuti e la maestra si arrabbia se siamo ancora fuori dalla classe quando suona la campanella, è capace di metterci dietro la lavagna per un’ ora. Eccolo Enrico, finalmente. Esce dal gabinetto con un pezzo di pizza bianca in mano. Che buona la pizza, ho una fame io. Il dottore dice che è meglio di no, che mi fa male la pizza e mia mamma mi da come merenda un frutto. Però io ho fame.

Enrico mi vede e si ferma.

“C’ ‘a voi ‘a pizza, a me nun me va più!”

“Grazie Erì. Ma com’ è che non te va più?”

“Nun c’ ho fame, ‘sta matina ho magnato troppo!”

Me la passa con un gesto come dire “Tiè, magna che sei pell’ e ossa” e va verso la classe, in fondo al corridoio. Do un morso, mi metto il quindici per quindici centimetri di pizza sotto l’ ascella e entro in bagno.

Mentre finalmente piscio, facendo attenzione a non far cadere il prezioso quadrato da sotto il braccio, rifletto. Enrico è uno di quelli furbi, non è come me, pallido, magro e timido, lui si che sa farsi rispettare. Mi pare strano questo suo slancio altruistico. Forse l’ ho giudicato male, forse non è poi così cattivo.

Esco dal bagno e inizio a mangiare la pizza, è buonissima. Mi incammino verso la mia classe, la maestra ancora non è uscita per richiamarci. Vedo Enrico  subito fuori dalla porta, parla con Raffaele e mi indica con un dito. I due, come vedono che sto andando verso di loro, entrano. Ridono.

Raffaele non mi piace, lui vorrebbe essere un furbo come Enrico ma non ci riesce. Nonostante ciò cerca lo stesso di fare il prepotente con me, che sono più piccolo anche di lui.

L’ ho detto, sono malaticcio, l’ anno passato stavo per morire e il dottore non ha neppure capito che cosa avevo. Poi sono guarito, ma sono restato un po’ piccolo, e più che altro, magro. Per questo mi chiamano carta velina e a me dispiace un po, non tanto per il soprannome, quanto perché si capisce che lo dicono per prendermi in giro, non per scherzo.

Continuo a mangiare con soddisfazione la pizza. Ma perché sono rientrarti subito appena mi hanno visto e perché ridevano. Ridevano di me? Può darsi, capita che ridano di me.

Sento un odore strano, poi realizzo che è puzza di pipì. Che c’ ha fatto con questa pizza Enrico prima di regalarmela con tanto altruismo? Ma sono un bambino di dieci anni ed ho fame, forse mi sbaglio e la puzza è nell’aria.

O forse sulle mie mani, che non mi sono lavato dopo aver pisciato.

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